Nell’estate 2017 in Sicilia è scattato il divieto di balneazione in più di duecento aree costiere. Il decreto dell’Assessorato alla salute della Regione ha negato alle province di Palermo, Messina, Agrigento e Trapani l’accesso a quasi 69 chilometri di costa, che comprendono zone portuali e aeroportuali, aree interessate da scarichi, impianti industriali e depuratori. Le verifiche sulle acque di balneazione sottostanno a una normativa europea (direttiva del 2006 sulle acque di balneazione) che impone controlli su due batteri specifici; questo però esclude ricerche sulla presenza di altre sostanze chimiche inquinanti e dannose per la salute come il mercurio, il piombo, l’arsenico. Ma c’è chi scava più a fondo: indagini più approfondite vengono ad esempio condotte dalla nave Goletta Verde di Legambiente lungo tutti i 7.412 km di coste italiane - dalla Liguria alla Sicilia al Friuli Venezia Giulia - nell’ambito di una campagna attiva da anni a cui partecipa anche CONOU - Consorzio nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati. Le indagini di Legambiente tengono come riferimento la normativa italiana sulle acque di balneazione, ma non si fermano qui: analizzano i parametri microbiologici di campioni prelevati presso foci dei fiumi, canali, torrenti, fiumare e fossi, e di acque che bagnano spiagge normalmente frequentate. Il quadro che emerge è drammatico: dei 260 punti presi a campione, 105 (ovvero il 40%) sono risultati inquinati da scarichi fognari non depurati; di questi, l’82% ha valori che superano più del doppio il limite per le acque di balneazione stabilito dal decreto legislativo 116/2008. Nonostante i numerosi appelli da parte di associazioni e della società civile, le autorità pubbliche non hanno predisposto interventi adeguati. Così, dopo aver riscontrato la persistenza di zone inquinate per più anni consecutivi, Legambiente ha deciso di presentare 11 esposti alle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera (che ha anche la facoltà di svolgere monitoraggio e verifica sugli scarichi in mare), sulla base della legge che nel 2015 ha introdotto nel codice penale italiano gli ecoreati. L’inquinamento dei mari è quindi un problema diffuso a livello nazionale. Ma quali sono le cause principali? Prima fra tutte lo smaltimento dei rifiuti, a partire dalla gestione, non sempre adeguata, in carico alle autorità addette. Come si legge nel diario di bordo di Goletta Verde, “sul nostro Paese pesano già due condanne e una terza procedura d’infrazione, che coinvolgono 866 agglomerati, di cui il 60% in sole tre regioni, Sicilia, Calabria e Campania. A causa delle condanne e dei ritardi che si continuano a registrare ancora oggi, dal 1 gennaio 2017 è scattata la sanzione: dobbiamo pagare all’Europa 62,7 milioni di euro una tantum a cui si aggiungono 347 mila euro al giorno, fino a che non saranno sanate le irregolarità. I danni ambientali provocano quindi anche ingenti costi economici, che pesano sull’intera collettività. Anche gli scarichi illegali che ancora oggi si riversano nei fiumi, fossi, canali e a volte direttamente in mare, hanno un grande peso sullo stato di salute delle nostre acque. secondo i dati del rapporto Mare Monstrum (2017) di Legambiente, L’insufficiente depurazione e gli scarichi inquinanti restano il reato più contestato e in crescita rispetto all'anno precedente: corrisponde al 31,7% (contro il 24,6% del 2015) delle infrazioni. L’inquinamento dei mari dipende però in larga parte anche dalle abitudini quotidiane non sostenibili dei singoli cittadini. I rifiuti galleggiano in mare e si accumulano sulle spiagge anche a causa di uno smaltimento scorretto tra le mura di casa e da una dispersione consapevole nell’ambiente. Come si legge nel bilancio finale di Legambiente, “nel 18% dei punti monitorati dai tecnici di Goletta Verde è stata riscontrata la presenza di assorbenti, blister, salviette e, soprattutto, cotton fioc, che vengono gettati nel wc”. L’impatto è enorme: in 46 spiagge monitorate ne sono stati trovati quasi 7.000. Dopo 80 ore di osservazione diretta e 950 km monitorati nel 2016, è emerso che la quasi totalità dei rifiuti galleggianti - il 96% - è costituita da materiali in plastica (buste, teli, reti e lenze, frammenti di polistirolo e bottiglie) con una densità pari a 58 rifiuti per ogni km2 di mare, con punte di 62 nel Mar Tirreno. Della gravità di una situazione che interessa l’intero Paese, da nord a sud, siamo tutti testimoni, ma anche responsabili. Per questo è fondamentale impegnarsi in prima persona per contribuire a un cambiamento di rotta. E da dove cominciare? Prestando maggiore attenzione alle nostre azioni quotidiane: seguire correttamente le regole della raccolta differenziata del proprio luogo di residenza; utilizzare una borraccia (senza BPA o altre sostanze tossiche!) al posto delle bottigliette di plastica; raccogliere in contenitori gli oli esausti – delle fritture e dei vasetti sott’olio per poi portarli alla piattaforma ecologica, anziché gettarli nel lavandino. Un piccolo sforzo unito a quello di tanti altri può fare davvero la differenza.