Nel Sud del mondo c’è un oro che luccica ma non è pulito. L’America Latina è storicamente nota per le sue miniere d’oro, che da sempre hanno attirato gli interessi di aziende, governi e privati, che scavano e scavano nell’entroterra alla ricerca di ricchezza. Dal XVI secolo ad oggi lo sfruttamento di questi territori e delle popolazioni che li abitano continua ininterrotto, per rispondere alla domanda del mercato dell’oro di tutto il mondo. La Costa Rica rappresenta un caso eclatante di sovra sfruttamento delle risorse naturali e minerarie. Chiamato anche “il paese più verde” per la sua enorme biodiversità, il 25% della sua superficie è costituita da aree protette. Un patrimonio ambientale dal valore inestimabile, minacciato dalle attività estrattive, più che diffuse nel paese e praticate in maniera incontrollata da chi è alla ricerca di profitti economici, a qualunque costo.  Ma dopo secoli di scavi ed eccessivo sfruttamento, l’oro è sempre meno e sempre meno accessibile, e le pratiche estrattive si fanno sempre più aggressive e insostenibili, sia dal punto di vista ambientale che sociale. Si stima che per produrre un singolo anello d’oro dal peso di 1 grammo circa sia necessario smuovere e accantonare 20 tonnellate di terra, che generano rifiuti tossici dello stesso peso. A farne le spese, la conservazione degli ecosistemi locali e degli abitanti, privati dei propri diritti e delle risorse naturali su cui basano il proprio sostentamento. Un esempio tra tutti, le miniere a cielo aperto che la compagnia canadese Glen Cairn Gold Corporation ha creato nella regione di Bellavista: espongono gli strati più profondi della terra agli agenti atmosferici provocando reazioni chimiche che producono acido solforico che si può diffondere nei sistemi di drenaggio degli impianti. Anche la qualità dell’aria ne risente poiché le rocce all’interno delle miniere, una volta esposte all’aria, rilasciano centinaia di tonnellate di mercurio elementare. Questi immensi crateri sono inoltre causa di deforestazione, perdita di vegetazione (e, quindi, rischio di desertificazione) e di rischi connessi al movimento del terreno in una zona già soggetta a forti piogge: problematiche che gli esperti avevano sollevato prima che cominciassero le operazioni, senza che però venissero tenute in considerazione. Uno dei metodi estrattivi più consolidati consiste nell’utilizzo di cianuro, spesso associato al mercurio, che si può riversare nell’ambiente con gravissime conseguenze. Queste sostanze tossiche inquinano le falde acquifere a partire dal suolo e poi in superficie, intaccando la qualità dell’acqua dei fiumi indispensabili per la sopravvivenza delle popolazioni locali. Per tentare di contenere la dispersione di rifiuti tossici vengono costruite dighe dalle miniere, ma il problema non si risolve. Il sottosuolo può essere compromesso facilmente e le sostanze tossiche, scorrendo lungo i fiumi, possono contaminare anche ecosistemi lontani dal sito della miniera. Ai danni ambientali connessi all’attività mineraria si aggiungono le gravi conseguenze sociali. Gli abitanti delle zone rurali non hanno più accesso ai propri terreni e alle risorse ambientali delle foreste da cui dipende il loro sostentamento, basato principalmente su agricoltura e pesca. Una mobilitazione collettiva di fronte a una situazione diventata ormai insostenibile ha permesso di ottenere importanti successi: dopo 5 anni le pratiche estrattive sono state sospese e, nel 2010, la legge riguardante le miniere è stata modificata, in modo da interrompere le attività legate all’estrazione di oro. Non essendo retroattiva, la legge non fermerà le attività della più grande azienda mineraria che opera nel paese, che ha infatti mantenuto il permesso di estrazione nel sito di Crucitas - seppur con alcune limitazioni - ma sarà applicata a tutti gli interventi futuri. Un altro importante traguardo è la firma della Convenzione di Minamata avvenuta nel 2013 a Kumamoto, in Giappone, all’interno del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente. Questo trattato internazionale prevede controlli e riduzioni delle emissioni di mercurio nei processi industriali e nelle attività estrattive. Si tratta di un forte segnale che dimostra come la Costa Rica abbia anteposto la salvaguardia delle proprie ricchezze naturali e culturali agli interessi economici del mercato internazionale.