Quella raccontata dalla ONG svizzera Public Eye, nata con l’obiettivo di osservare criticamente l’impatto che la Svizzera e le sue imprese hanno sui paesi poveri, è una storia di convenienza, ma ad alto prezzo. L’accusa dell’associazione è molto grave: alcune società petrolifere elvetiche stanno “inondando” l’Africa occidentale di carburanti di bassa qualità e altamente tossici. Il titolo della recente indagine condotta da Public Eye e pubblicata nel settembre 2016, “Dirty Diesel: How Swiss trader flood Africa with toxic fuels” (“Carburante sporco: Come i commercianti svizzeri stanno inondando l’Africa di carburanti tossici”) non lascia spazio a fraintendimenti. Queste aziende, di cui gli autori del rapporto fanno anche i nomi, abbassano la qualità dei combustibili venduti in Africa per aumentare i propri profitti. Come? Mescolando il petrolio con prodotti altamente dannosi per la salute dell’uomo  e dell’ambiente. Primo fra tutti lo zolfo. Due terzi dei campioni di carburante prelevati nelle stazioni di servizio di proprietà o rifornite da queste aziende in otto Paesi dell’Africa Occidentale presentano infatti un contenuto di zolfo di almeno 150 volte superiore (1500 parti per milione, ppm) rispetto al limite consentito in Europa, Stati Uniti e, dal 2017, anche in Cina (che è di 10 ppm). Il picco è stato registrato in Mali: una quantità di zolfo di 378 volte superiore ai limiti europei. Ma perché questa sostanza è così tossica? Perché una volta che viene bruciato con la combustione, lo zolfo si trasforma in anidride solforosa, sostanza presente nelle polveri sottili che inquinano l’aria. La dannosità dei solfuri è stata dimostrata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che nel 2012 ha classificato le emissioni di diesel come uno dei principali responsabili di malattie respiratorie e tumori ai polmoni. Le aziende incriminate approfittano dei bassi standard ambientali dei Paesi africani per ottenere profitti più alti. In questa parte di mondo la strada verso l’adozione di combustibili più puliti è piena di ostacoli, come la carenza di tecnologie pulite e la presenza di raffinerie obsolete. La conoscenza dei benefici derivanti da standard più rigidi sarebbe il primo grande passo: Perché come sempre, le più grandi rivoluzioni partono dall’educazione e dell’informazione. L’appello dei ricercatori è tutto rivolto alla comunità internazionale: fare pressione alle compagnie petrolifere, perché facciano prevalere il rispetto dei diritti umani sulla logica del profitto a qualunque costo.