L’impatto ambientale delle industrie petrolifere sul Delta del Niger

Il Delta del Niger è una regione di 70.000 km quadrati a sud della Nigeria, articolata in nove stati (Abia, Akwa Ibom, Bayelsa, Cross River, Delta, Edo, Imo, Ondo) con una popolazione di circa 30 milioni di abitanti. Con un’estrazione giornaliera di circa 2 milioni di barili di greggio e una stima di riserva di circa 28,2 miliardi di barili, quella del Delta del Niger, attiva dal 1956, è ad oggi la più importante industria petrolifera africana, sesta al mondo, che produce il 90% delle esportazioni della Nigeria. Tuttavia quello del petrolio e del gas è da sempre un affare per pochi industriali e politici corrotti. Non c’è infatti redistribuzione della ricchezza proveniente da questo settore. Al contrario la popolazione del Delta del Niger versa in condizione di povertà, di non accesso, fra gli altri, ai servizi sanitari e alla scuola. Dal punto di vista ambientale, la scarsa o assente manutenzione delle condotte con conseguente dispersione di greggio nel terreno ha comportato la continua contaminazione dell’acqua, con conseguenti danni per la salute delle persone e avvelenamento di campi coltivati, vegetazione locale e della fauna ittica, laddove attività economiche chiave sono la pesca e l’agricoltura. Per velocizzare l’estrazione del greggio, il gas naturale di risulta (metano) viene bruciato, secondo la pratica del gas flaring con conseguente fortissimo riscaldamento e inquinamento dell’aria, diffusione di irritazioni della pelle e di malattie respiratorie, oltre allo spreco di una risorsa che nella misura di 70 milioni di metri cubi giornalieri coprirebbe il 40% del fabbisogno nazionale. L’estrema povertà, l’insicurezza, l’ingiustizia in cui versa la popolazione del Delta del Niger a fronte della ricchezza del proprio sottosuolo porta alla fondazione, nel 1990, di un movimento di protesta sociale pacifica, il MOSOP – Movement for the Survival of the Ogoni People, guidato dal poeta e candidato al premio Nobel per la Pace Ken Saro-Wiwa, condannato e ucciso con altri attivisti nel 1995, in piena violazione dei diritti umani. Le successive formazioni armate come il MEND – Movement for the Emancipation of the Niger Delta (Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger) e la NDPVF – Niger Delta People’s Volunteer Force (Forza volontaria popolare del Delta del Niger) ripiegano sull’arma del sabotaggio degli impianti e sul rapimento di personale degli stessi stabilimenti in cambio di riscatto, per ottenere ascolto dalle multinazionali come Shell, Chevron, ExxonMobil ed Eni. L’accusa da parte delle multinazionali petrolifere di sabotaggio e procurato danneggiamento o furto di greggio a opera della popolazione locale cerca di sminuisce la loro reale responsabilità per la manutenzione. Tuttavia, nel 2012 Corte internazionale de l’Aja condanna la compagnia olandese Shell, accusata di inquinamento per mancata sorveglianza e manutenzione degli impianti, grazie all’azione di Environmental Rights Action, associazione ambientalista appartenente alla rete Friends of Hearth in Nigeria. Dopo tentativi di riconciliazione e violazioni degli accordi con i vari movimenti, nel 2016 viene fondato il movimento dei Vendicatori del Delta del Niger o NDA – Niger Delta Avengers, che, come il Niger Delta Green Justice Mandate riprende con i sabotaggi. Nel maggio 2017 anche a Eni è chiesto un risarcimento di 2 milioni di euro per un incidente avvenuto nel 2010 che provocò sversamenti a danno della comunità Ikebiri.