Nel 2015 la famiglia Yustinur ha dovuto lasciare Samadria, nel Borneo, perché i livelli di inquinamento atmosferico erano diventati insostenibili. Ciò che li ha convinti a partire è stato l’attacco d’asma della figlia più piccola, in una casa in cui già avevano installato un filtro per l’aria, e il decesso della nonna a causa di problemi respiratori. Il caso dell’Indonesia, in tema di inquinamento atmosferico, è eclatante se si pensa che nel 2015 il paese era al quinto posto per emissioni di gas serra, al pari del Brasile e con livelli quasi superiori alle emissioni annue di tutto il Regno Unito. La causa di questo record risiede nel fenomeno ormai praticamente quotidiano degli incendi, che producono il doppio delle emissioni di gas serra rispetto a tutti i settori dell’economia indonesiana messi insieme. Il terreno delle foreste dell’Indonesia che gli incendi inghiottono è costituito principalmente da torba, uno strato di terra che si forma dalla decomposizione di vegetazione e materiale organico. Si tratta di un ambiente umido che, tuttavia, a causa dell’aumento delle temperature atmosferiche e della siccità, tende a evaporare più del normale, riducendo le falde acquifere e diventando così altamente infiammabile. La torba ha inoltre un elevato livello di anidride carbonica e può quindi bruciare anche sottoterra: una volta che s’infiamma è in grado di espandere il fuoco in superficie all’infinito. Si creano così dense nubi di fumo che aumentano esponenzialmente il rilascio di emissioni di CO2 e sostanze chimiche nell’aria, causando gravi danni alla salute degli abitanti e agli ecosistemi locali. Nel 2015 nel Paese ci sono stati più di 100 mila incendi. Perché? Perché è la soluzione più rapida ed economica per far spazio a piantagioni di olio di palma, di cui l’Indonesia è il primo produttore al mondo. Per rispondere agli altissimi consumi nel mercato internazionale – in particolare quello occidentale – il Paese ha continuamente bisogno di avere terra a disposizione per piantare nuove palme da olio a ritmi che la natura non riesce più a sostenere. Nel 2015, anno record per la crisi degli incendi nel paesein Indonesia, sono stati dati alle fiamme 21.000 km2 di suolo in soli 6 mesi. Tra tutti i soggetti coinvolti in questo processo è difficile identificare un unico colpevole. Da un lato ci sono gli agricoltori locali - per i quali questa attività è l’unica alternativa economica - che spesso non sono nemmeno consapevoli dei danni che provocano all’ambiente e alla loro stessa salute. Si stima che, solo nel 2015, i casi di infezioni del tratto respiratorio siano stati 500.000 e che le morti premature connesse agli incendi nella regione siano state tra le 11.880 e le 100.300. Ma le dichiarazioni ufficiali ne collegano solo 24 ai fumi degli incendi e considerano gli altri dei casi di infezioni temporanee. Ci sono poi le grandi aziende che, impegnate a trarre il maggior profitto possibile, non si curano affatto dei danni provocati alle popolazioni e agli ambienti locali. E, per parte loro, le autorità indonesiane non concentrano abbastanza sforzi nel tenere traccia di chi possiede i terreni e nel controllarne la gestione. A complicare ulteriormente il quadro è la filiera legata alla produzione e distribuzione di olio di palma che, nel passaggio dalla piantagione al frantoio, non è abbastanza trasparente da permettere di fare luce sui diretti responsabili degli incendi. La consapevolezza è il primo passo per promuovere il cambiamento. E ciascuno di noi, nel proprio piccolo, può avere un impatto positivo sugli attuali modelli di produzione. Siamo in grado di influenzare le scelte di mercato, eccome. Lo dimostra il fatto che, negli ultimi mesi, molte aziende abbiano eliminato l’olio di palma dagli ingredienti che compongono i loro prodotti. Ma, perché non rappresenti solo una moda passeggera, è necessario prendere vera coscienza delle conseguenze che certe abitudini quotidiane causano a livello globale, di come le nostre scelte alimentari provochino danni ambientali (e non solo) spesso irreparabili, anche a migliaia di chilometri di distanza. Perché lo sforzo di ciascuno di noi, unito a quello di tanti, può davvero fare la differenza.

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A family’s story in the context of the Indonesian forest fires